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Il rugby che cambia - Visto da Marco Longhi

28 luglio 2020

Il rugby che cambia?

una riflessione di Marco Longhi 
                                                                                                                                                                                                                    Certo, il rugby si adatta ed evolve come tutto quello che ci circonda, a volte in meglio altre meno, l’importante è non stancarsi mai di cercare il proprio. Non so quanti anni ho speso nel rugby, ho giocato, allenato, mi sono divertito. Ho conosciuto centinaia di persone dalle quali ho spesso imparato. Ho avuto la fortuna di vedere crescere ragazzi come persone e qualcuno di questi anche come atleta cosa posso volere di più?
Giocavo con gli avanti, seconda linea o Lock per dirla all’inglese, proprio nel cuore del caos organizzato.  Un ruolo ingrato ancora oggi, chiuso tra i piloni e le terze linee a stabilizzare e spingere per guadagnare terreno. Lì, in sala "motori”, quando vedevo la palla passare sotto di me, era un buon segno, voleva dire che eravamo avanzanti. Le soddisfazioni venivano in touche, dove senza ascensore, ti conquistavi l’ovale…..per pochi secondi,  giusto il tempo di darlo al mediano, oppure vicino ai raggruppamenti andando in pressione per un buon placcaggio. Però era divertente, mi piaceva fare fatica, spingere per una mischia vincente, andare con i compagni sul piede avanzante….ma quanta fatica. Ogni ingaggio una questione di centimetri e quando ti rialzavi, la palla era già lontano, ricordo che ci volevano 3 partite per non sentire dolori nei giorni successivi.
Il tema della partita era la continuità del gioco, si puntava a tenere la palla per darla ai trequarti che con gambe veloci dovevano riuscire a battere i difensori. 
 Allora come oggi, c’erano trasferte chilometriche che magicamente diventavano parte del gioco, momenti di condivisione, dove nascevano amicizie che vivono ancora oggi. Momenti divertenti che con la partita, ci hanno fatto crescere, acquisire fiducia e come ha detto Massimo Mantovani durante i quali: "abbiamo costruito noi stessi”. Oggi il gioco è cambiato, IRB (n.d.r. International Rugby Board che governa le regole del rugby Union)nel corso degli anni ha introdotto molte variazioni per un rugby più spettacolare, veloce, sicuro ma "oggi come allora, si tratta di conquistare l’ovale ed avanzare”. Alla fine degli anni 90, la fisicità media dei giocatori era di 180 cm per poco meno di 90 kg, oggi i cm sono 186 e i kg 105(+15). La tattica e la fisicità del gioco è cambiata, si va subito per acquisire la linea del vantaggio, con maggior velocità, gli impatti sono più importanti, tanto che l’IRB ha dovuto introdurre il protocollo della concussion (n.d.r. commozione cerebrale) e sono attese ulteriori modifiche delle regole, in modo da salvaguardare la sicurezza e l’integrità dei giocatori.
Chiudo con una riflessione: spesso si sente parlare negativamente del rugby anni 80/90, eppure mai come allora, il nostro massimo campionato era imbottito di fuoriclasse assoluti che hanno fatto la storia di questo sport. Campioni del Mondo come gli All Blacks John Kirwan, Craig Green, Warwick Taylor, Frano Botica gli australiani David Campese, Michael Lynagh, Mark Ella o il sudafricano Nass Botha. Insomma un momento di crescita del movimento, iniziato con la partecipazione dell’Italia alla prima coppa del mondo del 1987 e culminato nel 1997 con l’ingresso dell’Italia nel 6 nazioni.     
Come vedete, ci sono stati e ci sono molti rugby, nel tempo e nello spazio, modi diversi d’interpretare il gioco a seconda dei contesti sociali, degli emisferi e proprio per questo sempre coinvolgenti, stimolanti.
La domanda è qual’è il nostro?                                       
Buonavita a tutti
Marco 

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